Nel 1998 acquistiamo una struttura poderale a 5 km dal centro di Siena ed ivi ci trasferiamo (il sottoscritto, mia moglie ed i nostri 3 figli: età: 29, 27 e 24 anni).
Utile evidenziare fin da ora, come capirete nel prosieguo, che, a sud-est, l’immobile risulta pressoché a ridosso del confine con un terreno di altro proprietario.
Nel biennio successivo i figli “prendono il volo”. Quindi rimaniamo soltanto io e mia moglie. Ovviamente l’immobile è troppo grande per due sole persone, anche se i nostri figli vengono spesso a trovarci.
Anziché rimettere in vendita il tutto, decidiamo di dare inizio ad una piccola attività turistica che prende avvio, ottenuti i regolari permessi, nell’anno 2000. Dopo poco tempo ci accorgiamo che l’attività ci piace e, tutto sommato, non è molto defatigante, anche perché, forse, svolta con passione.
Nel periodo 2002/2003, ottenuti i permessi necessari, facciamo fare dei piccoli lavori di ristrutturazione interna volti a rendere più confortevole il soggiorno presso di noi.
Poi cominciamo a predisporre gli adempimenti burocratici per trasformare una piccola capanna in abitazione, con l’intento di aumentare la ricettività nella struttura principale e, quindi, i ricavi [l’obiettivo consiste nel raggiungere flussi di reddito adeguati per una famiglia, per poi passare la relativa gestione ad una delle nostre figlie, riservando a noi stessi (che, peraltro, avremmo preso residenza, nei periodi di apertura, in un appartamentino ricevuto in eredità dal sottoscritto) un’attività, come dire, di sostegno]. A tale scopo, in un secondo momento, allarghiamo l’attività, sempre dopo aver ottenuto i permessi e le licenze, anche alla somministrazione pasti.
- noi ci troviamo costretti a difenderci legalmente nei vari modi consentiti dalla legge a seconda del tipo di “fastidio”:
- nell’ottobre del 2005 iniziano i lavori di ristrutturazione della capanna anche se siamo oramai certi che, per quanto detto, la nostra struttura non sarà più “turisticamente appetibile”; quindi il progetto di creare una attività per la famiglia di una delle nostre figlie dovrà essere abbandonato;
- nel giugno 2007 cessiamo l’attività “turistica”;
- dopo un po’ di tempo “ritornano” nella struttura le due nostre figlie con relative famiglie.
In conclusione questa (proseguendo nell’utilizzo di una terminologia marcatamente eufemistica) situazione, ci ha creato danni enormi e su diversi versanti. Ma il versante che mi ha disturbato più degli altri è quello dei miei nipotini. Come ho avuto modo di palesare anche al massimo rappresentante di una Istituzione pubblica, “a questi vorremmo insegnare il rispetto degli altri, della natura, della convivenza civile, nonché buoni criteri di solidarietà umana. Il tutto in un habitat relativamente sereno”. La situazione sopra descritta, invece, è un insegnamento potente a “vivere in cattività”; “ed un bambino costretto a vivere, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, in una situazione di cattività avrà da tale situazione inputs che influiranno pesantemente e negativamente sul suo carattere”. Per nostra fortuna questi “stimoli pesantemente negativi” sono stati significativamente controbilanciati dall’atteggiamento amorevole di tutti gli “adulti” della famiglia (genitori, zii, nonni).